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Report Extra. I magistrati della Dda di Catanzaro insistono: il Crotone calcio è da sequestrare

di - Società

Report Extra. I magistrati della Dda di Catanzaro insistono: il Crotone calcio è da sequestrare

Autori: Giorgio Mottola
Argomenti: Società
Stagioni: 2016

Braccio di ferro tra la procura di Catanzaro e il Tribunale di Crotone, accusato dai magistrati antimafia, e neanche tanto tra le righe, di aver travalicato i propri compiti nel respingere la richiesta di sequestro nei confronti del loro potente concittadino Raffaele Vrenna, l’industriale leader nel campo dello smaltimento dei rifiuti e soprattutto patron del Crotone Calcio.

I pm della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri e Domenico Guarascio, giudicando Raffaele Vrenna e il fratello Giovanni Vrenna socialmente pericolosi e i loro redditi legittimi non compatibili con l’impero creato, avevano presentato richiesta di sequestro, in virtù di una “presunta sproporzione”, per un equivalente di 800 milioni di euro di beni. Un elenco lungo 20 pagine, che comprende quote di aziende, case, terreni e conti correnti, tra cui appunto la squadra di calcio. Da tempo i magistrati della Dda di Catanzaro sospettano Raffaele Vrenna di stretti rapporti con le cosche della ‘ndrangheta. A testimonianza ci sono alcuni affari conclusi dall’imprenditore con le ‘ndrine e le dichiarazioni di almeno quattro pentiti, oltre a migliaia di pagine di informative del Gico.

I giudici del Tribunale per le misure di prevenzione di Crotone erano chiamati a esprimersi soltanto sulla confisca dei beni di Raffaele Vrenna, di cui Report nel 2014 ha documentato gli stretti rapporti con la fondazione Ricostruiamo il futuro di Flavio Tosi.

Invece, lo scorso 18 gennaio, il collegio delle Misure di prevenzione, presieduto dal giudice Paolo Pirruccio, ha emesso la sua sentenza: mancano i presupposti per procedere con il sequestro. I giudici crotonesi avrebbero potuto fermarsi lì, invece hanno anche messo nero su bianco che, a loro avviso, non c’è alcun indizio della mafiosità dei Vrenna. Anzi, non solo i due fratelli non sono in combutta con gli ndranghetisti ma, a voler essere precisi, sono vittime della ‘ndrangheta. Così i giudici hanno capovolto l’accusa. Sebbene non fosse compito loro. Oltre a bocciare il provvedimento preventivo, hanno scagionato il businessman crotonese, nipote del capo dell’omonima cosca egemone a Crotone, da tutte le accuse di mafia presenti, passate e forse anche future. Insomma i legali di Vrenna non avrebbero potuto sperare in una sentenza migliore.

I pm della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri e Domenico Guarascio, hanno presentato appello, e nel loro ricorso in appello parlano di un curioso «straripamento rispetto all’oggetto del giudizio», una vera e propria « deviazione dai propri compiti».

Nel motivare la sentenza, ad esempio, i giudici definiscono inattendibili alcuni pentiti chiave dell’inchiesta su Vrenna, come Luigi Bonaventura. Secondo il collegio delle Misure di prevenzione, l’ex ‘ndranghetista avrebbe accusato l’imprenditore crotonese a causa di una «forma di rivalsa nei confronti dei fratelli Vrenna», avrebbe parlato insomma solo per rancore personale. Proprio quel Bonaventura che invece è stato considerato attendibile da altri Tribunali, e le cui dichiarazioni sono state riscontrate dalle testimonianze di altri pentiti. Un atteggiamento anomalo dei giudici crotonesi nei contronti del loro potente concittadino, soprattutto perché non avrebbero né la competenza, né gli strumenti per esprimersi sull’attendibilità dei pentiti. Per questo, la Procura di Catanzaro parla di «convincimento del tutto slegato dagli elementi di prova ossia è frutto di una convinzione personale del giudicante che appare non solo incontrollabile ma smentita dalla lettura unitaria di tutte le fonti di prova».

Infatti a sostegno della tesi della non mafiosità dei Vrenna, i giudici citano la sentenza della corte di Appello nel processo Puma, che ha visto l’imprenditore crotonese condannato in primo grado e poi assolto in seconda e terza istanza. L’assoluzione, secondo il provvedimento del Tribunale per le misure di prevenzione, renderebbe «alquanto evidente il ruolo di vittima di continue estorsione di denaro rivestito dai fratelli Vrenna, piuttosto che di soggetti che si collocano nell’area della contiguità o appartenza ad associazioni di tipo mafioso». Un’interpretazione che Bombardieri e Guarascio giudicano un «travisamento» di quella sentenza. La corte di Appello, infatti, assolse Raffaele Vrenna perché non si era riuscito a dimostrare che perseguisse direttamente gli interessi della cosca, ma aggiunse: «persegue i propri interessi per raggiungere i quali è disposto a tutto, a commettere falsi e abusi ed anche a fare affari con persone che sa o intuisce essere losche, rectius ndranghetisti». In altre parole, secondo la Corte di Appello di Catanzaro, Vrenna avrebbe fatto affari con le ‘ndrine, pur sapendo che fossero ‘ndrine, ma «in un rapporto paritario», vale a dire che non ci ha spartito i suoi profitti. Si trattò quindi di un’assoluzione in chiaroscuro che consentì al capo della Dda di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, di dire davanti alla Commissione Antimafia che Vrenna incarna la figura dell’imprenditore calabrese borderline.

Con il duro ricorso presentato dai pm di Catanzaro, torna dunque al centro delle polemiche il Tribunale di Crotone. Già nel 2008, a pochi giorni dalla condanna per concorso esterno in primo grado di Vrenna, fece scalpore il fatto che l’allora procuratore generale di Crotone, Franco Tricoli si dimise dal suo incarico per andare a presiedere il trust istituito dalla famiglia dell’imprenditore crotonose, sotto inchiesta per mafia, allo scopo di evitare l’interdittiva. Emergeva anche alla cronaca nazionale che la Segretaria di Tricoli al Tribunale di Crotone era proprio la moglie dell’allora Raffaele Vrenna, fino al 2014 ancora impiegata presso gli stessi uffici giudiziari. Ora la palla passa alla corte d’appello di Catanzaro.

(29 gennaio 2016)




- In attesa dell'esito del ricorso della Procura di Catanzaro, diamo conto del punto di vista di Raffaele e Giovanni Vrenna pubblicando la seguente nota giunta in redazione (10 febbraio 2016)

In riferimento a tutti gli articoli di stampa apparsi negli ultimi giorni, il presidente Raffaele Vrenna e l’amministratore delegato Giovanni Vrenna intendono precisare:

“Con inaudita pervicacia è in atto un'aggressione mediatica che enfatizza, unilateralmente, un ricorso che la Procura ha interposto avverso un decreto del Tribunale di Crotone che si è occupato di una richiesta avanzata dalla Procura di Catanzaro, rigettandola. Ebbene gli estensori di alcuni articoli di stampa, oltre a dare al patrimonio dei fratelli Vrenna fantasiose quantificazioni (addirittura 800 milioni!?) o ad affermare falsamente che il Presidente del Crotone sarebbe stato arrestato (circostanze queste ultime che, poiché false, saranno oggetto di valutazione in sede giudiziaria, visto che verranno perseguiti in sede civile e penale gli astiosi sprovveduti che si sono lasciati trascinare dall'impeto colpevolista che li ha travolti), continuano ad enfatizzare il ricorso della Procura e nel contempo banalizzare il doppio controllo giurisdizionale (da parte del Presidente del Tribunale -prima- e del Tribunale -dopo-) che, sulla richiesta della Procura, si è risolto in termini postivi, nel senso che è stato riconosciuto (si ribadisce) giurisdizionalmente che i fratelli Vrenna sono stati (e sono tutt'ora) vittime di angherie e vessazioni delinquenziali mafiose e non già conniventi. Parimenti, sempre in sede giudiziaria, è stata riconosciuta la legittimità del patrimonio (di gran lunga inferiore a quello surrettiziamente rappresentato). Ed allora ci si chiede perché un ricorso di parte (Procura della Repubblica) deve essere utilizzato per gettare deliberatamente discredito a livello nazionale su imprese sane, infangando anche la squadra di calcio che ha finora dimostrato di avere le carte in regola per uno storico approdo nella massima serie. Senza voler fare voli pindarici e pensare a contorte e perverse macchinazioni, magari ipotizzando strumentali manipolazioni dettate da interessi specifici e mirati, non si può fare a meno di rimanere sbigottiti di fronte a prese di posizione giornalistiche che non appaiono propriamente libere e scevre da condizionamenti. Non deve sfuggire che il diritto di cronaca soggiace al limite della contingenza che comporta moderazione, misura e proporzione nelle modalità espressive. Non bisogna, quindi, mai trascendere in attacchi personali diretti a colpire la dignità e professionalità altrui. All'uopo ha rilievo non solo il contenuto dell'articolo, ma l'intero contesto espressivo in cui lo stesso si è inserito, compresi titoli e sottotitoli. Questi sono tutti degli elementi che rendono esplicito il significato di un articolo che può esser idoneo a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi. Ecco perché la percezione visiva concorre quindi in maniera determinante ad attribuire un significato diffamatorio alla pubblicazione a mezzo stampa. E' bene evidente, quindi, che la veste grafica ed i titoli utilizzati negli articoli di cui si discute sono fuorvianti. Ma di ciò si occuperanno il Giudice Penale e quello Civile già investiti dalle domande e denunce in tal senso avanzate dai fratelli Vrenna contro gli estensori, i Direttori e gli Editori delle testate giornalistiche interessati. Verrà nello stesso tempo avanzata una richiesta alla Procura della Repubblica, alla Procura Generale della Corte Di Appello, ed alla Procura Generale della Corte di Cassazione, al fine di verificare la legittimità di un utilizzo esterno di atti di parte che riguardano un procedimento in corso di trattazione”.

Raffaele e Giovanni Vrenna

 



 

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