2018 Cryptomondi

Credits:
Stefano Lamorgese, Giuliano Marrucci

Prologo

Rivoluzione a metà

Se qualcuno pensa che le criptovalute possano cambiare il mondo, si sbaglia: lo hanno già cambiato. Almeno un po'.
È cambiato da quando Satoshi Nakamoto, avvalendosi di studi sulla crittografia e sui registri distribuiti compiuti da altri prima di lui, pubblicò il primo documento scientifico che descriveva il processo atto a creare una valuta fondata sulla crittografia e scambiabile senza intermediazioni centralizzate di tipo bancario. Era il 31 Ottobre 2008.

Da allora, lentamente all'inizio e assai velocemente negli ultimi mesi, le criptovalute hanno invaso lo spazio mediatico con parole nuove: Bitcoin, Ethereum, Ripple... Sono le parole-chiave di uno spregiudicato tentativo di far diventare vero un sogno molto diffuso e popolare, non soltanto tra gli hacker: proprio quello di poter fare a meno delle banche.

Ma... è davvero possibile? Oppure è una truffa, il solito raggiro che gatti e volpi architettano fin dalla notte dei tempi ai danni di tutti i Pinocchi del mondo? Difficile fornire una risposta univoca, però è possibile provare a definire lo stato dell'arte dell'intera questione.

Partiamo dunque dalle poche, pochissime certezze che abbiamo: è vero che le criptovalute, ufficialmente, non dipendono da nessun governo e che quindi nessuno può regolamentarle in nome di un'autorità superiore. Ed è vero che, diversamente dalle monete tradizionali, non hanno valore intrinseco (ancorché simbolico), ma sono mezzi di scambio validi soltanto all'interno di ogni singolo sistema di riferimento.

Sarà per questi assunti fondamentali che, come mostriamo nel grafico sottostante, la crescita del numero delle transazioni in bitcoin - la criptovaluta principale del mercato e l'unica davvero open-source - è stata straordinaria, passando dalle poche migliaia degli inizi, nel 2010, agli oltre 300 milioni del Marzo 2018. All'avvio di questa avventura quasi nessuno si era interessato al fenomeno.
Ma poi tutti, o quasi tutti, hanno cominciato a chiedersi se è davvero possibile guadagnarci qualcosa.

 

D'altronde è connaturato allo "homo oeconomicus" cercare di massimizzare i profitti, qualunque sia l'attività che svolge. In campo finanziario, poi, la tentazione di credere che le criptovalute siano un po' una sorta di pietra filosofale è stata (ed è tuttora) forte. Fortissima, stando ai numeri.

Numeri che parlano chiaramente: il grafico pubblicato qui sopra mostra l'andamento del controvalore in dollari USA delle cinque principali criptovalute per capitalizzazione (Bitcoin, Ethereum, Ripple, BitcoinCash e Litecoin), dalla loro nascita a oggi: tra un sussulto e l'altro, il confronto con i valori degli esordi può essere considerato esaltante. Soprattutto per chi ci ha creduto quando i prezzi erano bassi e s'è ritrovato seduto, intorno allo scorso Natale, su un forziere pieno di dobloni d'oro.

Monete create dal nulla, valore creato dai numeri: sembrava una rivoluzione; e in parte lo è stata. Ma soltanto a metà, perché orsi e tori, si sa, sono la fauna dominante, nella borsa: chi sale spera e chi scende trema. E così è andata per chi, colpito sulla via di Wall Street dal successo delle cripto, ha investito i propri risparmi sperando nella marea che saliva. Poi all'euforia è subentrata la paura: crolli, ricuperi, nuovi crolli hanno riempito le prime pagine dei giornali. Erano sogni davvero effimeri, quelli degli speculatori improvvisati che, tra uno scivolone e l'altro, oggi guardano ai valori di qualche mese fa con la stessa nostalgia insanabile di un bambino che, vestito il grembiule, torna a scuola dopo le vacanze al mare. Ma non tutto è perduto: il fenomeno è ancora giovane e si assesterà. Forse.




Stefano Lamorgese Stefano Lamorgese
ReportRai3

Tecnologia

Blockchain
L'origine di tutto

Blockchain è la base tecnologica del Bitcoin e di tutte le altre criptovalute; applicata a funzioni finanziarie, per la prima volta, dal misterioso Satoshi Nakamoto. Ma che cos'è questa benedetta "blockchain"?
È un'architettura di calcolo distribuita (cioè: una rete di computer), nella quale ogni nodo di rete esegue e registra le stesse transazioni, raggruppate in aggregazioni di dati chiamate "blocchi". È un sistema lento e ridondante, che in ogni nodo della sua rete compie sincronicamente la stessa operazione. Infatti è possibile aggiungere un solo blocco alla volta e ogni blocco contiene una prova matematica atta a verificare che esso sia effettivamente collegato e successivo, nella sequenza temporale, al blocco che lo precede. In questo modo, il "database distribuito" della blockchain viene mantenuto nel medesimo stato su tutta la rete.
Le interazioni di ciascun utente con il "libro mastro" (cioè con tutti i dati della catena), sono protette da un sistema crittografico molto avanzato. I nodi (cioè: i computer o i gruppi di computer), che mantengono e verificano la rete ricevono incentivi economici matematicamente codificati nel protocollo per mentenere la propria funzione di controllo. I fantomatici "miners" sono loro.

Nel caso di Bitcoin il database distribuito è concepito proprio come un libro mastro che contiene tutte le "entrate" e le "uscite": è una tabella che tiene conto di tutti i trasferimenti di moneta virtuale per garantirne la validità e controllare che nessuno degli utenti possa mai spendere due volte la stessa moneta.

Quando i bitcoin hanno iniziato ad attrarre sempre maggiore attenzione da parte di sviluppatori e tecnologi, sono sorti nuovi progetti volti a utilizzare la tecnologia blockchain per scopi diversi dal semplice trasferimento di valore da una tasca all'altra. Sono state dunque aggiunte nuove funzionalità, come accaduto per la criptomoneta "Ethereum", inventata alla fine del 2013 dal russo Vitalik Buterin. Nacque allora una blockchain di nuova generazione che promette di costituire la base per un vasto insieme di "contratti rapidi" (gli smart contracts), in grado di rivoluzionare tutto il mondo che concerne la custodia e la verifica di ogni tipo di transazione.

È su quest'ultimo punto che bisognerebbe focalizzare l'attenzione. Infatti la vera novità costituita dal fenomeno delle criptomonete non è legata alla discussione sulla loro natura: se siano, cioè, una vera e propria forma di moneta o qualcosa che, questa è la tesi di alcuni esperti, una materia prima, affine all'oro o al petrolio.





La novità che le criptovalute portano con sé sta proprio nella tecnologia blockchain applicata alla validazione e alla custodia di contratti tra soggetti diversi. Se è vero che la blockchain può assolvere a questa funzione - e nulla sembra dimostrare il contrario - allora la sua forza potrebbe essere davvero dirompente: potrebbe sostituire il substrato mnemonico e giuridico in qualsiasi struttura o istituzione oggi preposta alla certificazione e alla conservazione di ogni tipo di documento.

Tremino dunque le banche. Ma anche i notai e persino gli uffici anagrafici! Blockchain li divorerà? Finora non è avvenuto. E non è detto che accadrà, sempre che accada, grazie alla blockchain. Il caso dell'Estonia costituisce, nel campo specifico, un'interessante via di mezzo.

Google search: una chiave di lettura


Nella tabella sottostante è descritta la frequenza delle ricerche della parola "blockchain" con Google, in tutto il mondo: ignorato agli inizi, ha segnato il suo massimo nel dicembre 2017.


Sicurezza

Anonimato, sicurezza, traffici illeciti.

Una delle caratteristiche salienti delle transazioni basate sulla blockchain è l'anonimato che essa garantisce. Solo chi fa parte della rete certificante può risalire - assicurano i promotori di ogni blockchain - all'identità dei soggetti titolari delle transazioni stesse.
Dunque l'anonimato è vero ed effettivo, ma solo verso l'esterno; perché - così come nella "vita reale" noi scambiamo valuta in cambio di beni anche con soggetti a noi del tutto estranei - ciò capita anche tra chi scambia criptovalute. Così può accadere che i movimenti del nostro portafoglio digitale vengano conosciuti anche da perfetti estranei. Qui l'anonimato scricchiola perché è in conflitto con la regola numero uno: la distribuzione orizzontale e paritaria tra tutti gli "iscritti" nel registro pubblico delle transazioni che custodiscono. E` vero, infatti, che - quando ce n'è stato bisogno - le autorità giudiziarie non hanno incontrato difficoltà insormontabili nel risalire ai veri intestatari dei portafogli digitali.

A rendere inquiete le notti di chi gestisce le piattaforme e di chi investe in cryptovalute, poi, ci sono i furti. Furti di certificati, di pezzi di registro, di interi registri. Si tratta di azioni che non intaccano la blockchain (come quella, solidissima, di bitcoin), ma avvengono al suo esterno e finiscono comunque per sottrarre valore a chi ne è titolare. Il vero furto, però, è soprattutto quello di informazioni, identità, profili. Siamo o non siamo nell'era di BigData? La minaccia è concreta.

Assalto alla diligenza digitale

Per valutare questo specifico aspetto del "lato oscuro" del fenomeno, può essere utile considerare il livello e il valore degli "incidenti di percorso" riportati dalle cronache. I furti, per esempio: sono casi esemplari che hanno funestato la reputazione di tutto il cryptomondo, raggiungendo in alcuni casi volumi davvero notevoli.
Ecco un elenco cronologico degli episodi più gravi.

Giugno 2011
L'utente "allinvain" (un nickname davvero profetico) perde 25000 bitcoin dal sito Bitcointalk.org. È il primo furto di criptovaluta, per un valore pari, a quel tempo, a 425mila dollari. (L'articolo su Forbes)

Settembre 2012
BitFloor, piattaforma di base a New York, perde più di 265mila dollari in Bitcoin a causa di un attacco hacker (leggi la storia su BBC News). Gli investitori furono risarciti nell'Aprile 2013.

Febbraio 2014
Dal sito Mt.Gox, fino ad allora il più grande gestore mondiale di criptovaluta, scompaiono 850mila Bitcoin. 200mila vengono ritrovati poco più tardi, ma la frittata è fatta e la società chiude i battenti (Vedi: BBC News). Perpetrato lungo l'arco di almeno tre anni, tra 2011 e 2014, è stato, finora, il più cospicuo furto nella storia delle criptovalute, pari - al cambio del 2014 - a 390 milioni di dollari.

Gennaio 2015
Il management della piattaforma Bitstamp annuncia il furto di 5 mln di dollari in bitcoin (La storia su Fortune.com).

Maggio 2016
250 Bitcoin, 185000 Ethereum, 1900 Litecoin vengono prelevati clandestinamente dalla banca dati del gestore Gatecoin, furono poi restituiti dalla piattaforma ai suoi investitori (La storia su SiliconAngle).

Giugno 2016
I creatori e gestori della piattaforma di investimento DAO (Decentralized Autonomous Organization) si accorgono di un pericoloso bug nel loro sistema di certificazione blockchain. Prima che le operazioni di correzione siano portate a termine, si registra un furto di 3,6 milioni di ethereum, pari a 54 milioni di dollari. (Ne parlò Wired).

Agosto 2016
La piattaforma di exchange Bitfinex viene derubata di 120mila bitcoin che nel giro di pochi mesi verranno rimborsati ai sottoscrittori.

Aprile 2017
Hackerato il computer di un consulente della piattaforma sudcoreana di crypto-exchange Bithumb: rubati dati personali di 30mila utenti. Fu più un furto di dati che di soldi, ma fruttò a Bithumb una multa di 55000 dollari.

Luglio 2017
Il gestore di portafogli digitali Parity Wallet viene derubato di 150mila ethereum (32 milioni di dollari): un bug derivato da nuove ICO lanciate improvvidamente sulla piattaforma ne avrebbero compromesso la sicurezza.

Novembre 2017
Si apre un'altra falla nel sistema di sicurezza di Parity Wallet: 155 milioni di dollari di perdite in Ether e altre cryptovalute. Non si trattò di un furto vero e proprio, ma di un atto maldestro di un utente che, di fatto, cancellò i potafogli digitali di numerosi clienti. (Ben spiegato da Alex Hern sul Guardian)

Dicembre 2017
NiceHash, piattaforma di mining slovena, annuncia un furto di bitcoin pari a 63 milioni di dollari.

Gennaio 2018
Alla piattaforma giapponese Coincheck, una delle più grandi e importanti del mondo, viene sottratta una cifra colossale: 523 milioni di NEM (o XEM: si tratta di un'altra, meno nota cryptovaluta), più di 530 milioni di dollari. Le autorità nipponiche impongono alla società di rimborsare con propri fondi gli investitori. (Leggi la storia su BBCnews)

Febbraio 2018
La piattaforma italiana Bitgrail segnala un furto di 17 milioni di unità della criptovaluta Nano, equivalenti a circa 195 milioni di dollari. Il 13 febbraio la piattaforma annuncia di avere "pronto un piano di recupero che comunicheremo appena sicuri della sua fattibilità a livello legale e contabile" (L'intervista di Repubblica a Francesco Firano, amministratore della piattaforma).

Il grafico raccoglie i principali eventi di questo tipo: si tratta di sottrazioni indebite di dati che, in quanto legati ai nuovi simulacri del denaro dell'era digitale, equivalgono a una montagna di soldi sottratta ai legittimi proprietari.

Le scelte dei governi, tra sospetto e fiducia

Quando si parla di sicurezza, in quest'ambito, occorre tener presente che essa presenta molte facce. C'é la sicurezza delle piattaforme di scambio, la cui integrità è la principale garanzia offerta ai soggetti che vi investono le proprie risorse. C'è la sicurezza del sistema finanziario globale, sempre sospeso tra equilibrio e scossoni improvvisi e precipiti. C'è quella delimitata da confini, geografici e giurisdizionali, dei singoli stati.
Un tema, quest'ultimo, legato alla sostanziale opacità delle transazioni che non sono soggette a tassazione specifica e che quindi costituiscono un argomento assai spinoso per le autorità fiscali e tributarie.

Come si è visto, proprio perché si tratta di piattaforme digitali molto complesse fondate sull'equilibrio e la parità tra tutti i soggetti che vi prendono parte, non è raro che hacker agguerriti ed esperti possano violare le strutture di sicurezza dei sistemi sostenuti dalle blockchain per appropriarsi di cospicui bottini, ancorché digitali.

È consueto che le piattaforme informatiche - di qualsiasi genere - subiscano attacchi di questo genere: i dati, le informazioni custodite negli oscuri recessi dei sistemi complessi, fanno gola per svariate e non sempre confessabili ragioni. Ma è significativo notare che, quando si tratta di soldi, l'efficienza delle procedure di violazione superi con inusitata frequenza le barriere poste a fronteggiarle.

Nel planisfero è evidenziato il diverso atteggiamento delle singole autorità statali nei confronti del macrofenomeno delle criptovalute: si passa dalla rigidissima Cina al lassismo interessato del Giappone. Il mondo intero guarda con sospetto e cùpida speranza al processo in atto.

Finanza

Una montagna di soldi?

"Market cap", cioè: capitalizzazione di mercato. Meglio: è il valore complessivo di una società quotata in borsa e si ottiene moltiplicando il costo della singola azione per il numero totale delle azioni presenti sul mercato. Nel caso delle criptomonete il significato è del tutto analogo: il "market cap" è dato dal valore della singola moneta moltiplicato per il numero di tutte le monete circolanti. Questa considerazione, si badi, vale soltanto per le criptovalute più diffuse, perché la loro infrastruttura tecnologica è solida, il numero di "titoli" effettivamente distribuiti nel mercato è alto e perché sono molto vari i soggetti che li detengono. Le capitalizzazioni di altre monete virtuali, non dotate di una tecnologia propria ma - in qualche modo - parassitarie di applicazioni altrui, al contrario, corrispondono a un fenomeno legato più alla viralità del tema e delle sue parole-chiave che a un valore effettivamente verificabile. Perché? Perché tali monete sono possedute soltanto da pochi soggetti, spesso i medesimi che le hanno create. E che, quindi, hanno tutto l'interesse a farle sopravvalutare.

Ecco perché il grafico pubblicato all'inizio di questa sezione è caratterizzato dal cospicuo sussulto dell'autunno 2017: le cryptomonete circolanti continuavano a crescere in quantità con il solito ritmo; il loro valore unitario, invece, schizzò verso l'alto raggiungendo livelli impensabili.

Il bitcoin costituisce l'esempio più lampante del fenomeno: il 20 Ottobre 2017 il valore complessivo della sua capitalizzazione toccava per la prima volta i 100 miliardi di dollari; meno di due mesi dopo, il 17 Dicembre, quel valore era più che triplicato, sfondando la quota di 333 miliardi di dollari.
Nel medesimo arco temporale erano stati immessi sul mercato, complessivamente, circa 111300 bitcoin. Per capire la portata del balzo, basti pensare che un simile pacchetto di cryptomonete il 20 Ottobre avrebbe avuto un controvalore di 672 milioni di dollari, ma sarebbe cresciuto fino a 2,23 miliardi di dollari il 17 Dicembre.

La storia non finisce qui, come sappiamo.
Ai trionfi prenatalizi sono seguiti i tracolli: il 24 Dicembre 2017 la capitalizzazione del bitcoin era scesa di 110 miliardi, fino 223 miliardi di dollari ($ 13322 il valore unitario, circa 7000 dollari persi); il 17 Gennaio si era a quota 161 miliardi ($ 9621), il 6 Febbraio tornava a 104 miliardi ($ 6.213). Nel Marzo del 2018 il market cap del bitcoin era pari a 145 miliardi di dollari e un singolo pezzo valeva 8560. Dopo un ulteriore tonfo in Aprile, agli inizi di Maggio 2018 il Bitcoin è tornato sopra i 9mila dollari.
L'immissione di nuove monete, intanto, procede secondo i consueti ritmi: dai giorni del massimo valore di mercato sono arrivati, regolarmente, circa duemila "pezzi" al giorno.

Moneta o materia prima?

L'attenzione rivolta alla quantità totale di bitcoin presenti sul mercato non è una mera curiosità statistica.
In quanto "moneta matematica", il bitcoin è frutto di un algoritmo di calcolo che ne limita fin dall'origine la crescita. In altre parole: fin dal "conio" del primo token di Satoshi Nakamoto è noto quel sarà il numero massimo dei bitcoin circolanti, alla fine del mining planetario: 21 milioni di unità, non una di più. Forse qualcuna di meno, visto il numero di bitcoin "scomparsi" nei meandri della rete e dimenticati dentro wallet sconosciuti; sarà ineluttabilmente quello - 21 milioni di pezzi - il limite raggiunto quando, all'incirca nel 2033, sarà "minato" l'ultimo pezzo.
Da un lato, quindi, il bitcoin somiglia - e parecchio! - a qualsiasi altra materia prima, la cui quantità disponibile è una funzione diretta delle riserve e della capacità estrattiva (si pensi all'oro, al petrolio, al rame). Dall'altra, però, va sottolineata una differenza: le prospezioni oceaniche - soprattutto in Artide e Antartide - fanno sognare i petrolieri, sempre in cerca di giacimenti nascosti. Si troverà, forse, altro petrolio, uranio o litio: ma, per quanto si scavi e si perfori, certamente non si troveranno inattesi bitcoin.
Qui, sulla soglia della metafora tra miniera fisica e virtuale, cessano tutte le analogie tra materie prime e criptomonete. E nessuno sa come si comporteranno i mercati (cio` gli uomini, le donne e i computer che ci investono e investiranno soldi veri), quando l'ultima "miniera" chiuderà le gallerie e si spegnerà l'interruttore dell'ultima farm.

Estonia

Frontiera digitale

45000 kmq di superficie (circa 1/7 dell'Italia), 1300000 abitanti (meno di 1/20 della popolazione), nell'UE dal 1 marzo 2004. Da qualche anno l'Estonia s'è conquistata un ruolo da protagonista, anzi: da trascinatrice della rivoluzione digitale.
Oggi tutti parlano di "blockchain", anche noi, qui; ma gli estoni cominciarono a studiare tale tecnologia prima ancora che il famigerato Nakamoto la collegasse al magico mondo delle criptovalute. Avviate con la società USA, GUARDTIME nel 2007-2008 e rese disponibili al pubblico nel 2012, le applicazioni estoni sono utilizzate sia nell'ambito della protezione delle banche dati nazionali che nell'erogazione di servizi verso il settore pubblico e privato. Sia chiaro: non tutto ciò che è digitale e distribuito è blockchain, nemmeno in Estonia. Però, questa sembra essere la morale più congrua da trarre, lo stato baltico ha cavalcato l'onda anche per superarla, con grande senso pratico. L'accentramento dei dati (la Pubblica Amministrazione) e la distribuzione "democratica" delle applicazioni (i servizi al pubblico) - descrizione sintetica applicabile a quanto l'Estonia sta facendo - sono una risposta che dimunuisce i disagi a amplifica i vantaggi della società digitale.

E-residency
In questa scia, nel dicembre del 2014, la repubblica baltica ha dato vita a un progetto rivoluzionario: la e-residency. Si tratta di offrire la cittadinanza digitale estone a chiunque lo voglia - dall'Oceania al Polo Nord - per fare impresa in Estonia e, quindi, in Europa: il mercato più ricco del pianeta.
La cittadinanza digitale estone ha un carattere esclusivamente economico: non contiene alcun aspetto politico, né prescrive la residenza fisica. Però i suoi sportelli sono aperti sette giorni su sette per 24 ore al giorno: non può esserci confronto, nemmeno con la più solerte forma di amministrazione pubblica.

Come funziona
L'ambizioso progetto si snoda secondo una procedura molto semplice ed economica.
Ci si collega al portale telematico governativo, si caricano i propri documenti d'identità e si convalidano i moduli con la propria firma digitale. Al costo di 100€, nel giro di quattro settimane (al massimo), si ottiene un ID estone che abilita a esercitare la propria attività economica nel mercato europeo, con tutti i benefici di un qualsiasi cittadino estone.

Digital Baltic System



Numeri
In poco più di tre anni, il sistema della e-residency ha visto crescere il proprio successo: dalle poche decine di richieste dei primi mesi, oggi si registrano centinaia di nuove richieste settimanali. Così, il totale dei residenti digitali ha superato le 35mila unità. Si tratta di cittadini provenienti da ogni parte del pianeta, ma il grosso è composto da russi, finlandesi, ucraini e russi. I dati, pubblici e continuamente aggiornati, sono disponibili qui. Il governo estone ne va fiero, come spiega il sottosegretario del ministero estone alle finanze, Dimitri Jegorov: Here’s why tax evaders are disappointed in Estonian e-Residency.

Dubbi
Anche se gli argomenti dei fautori di tale innovazione sono piuttosto solidi, non sono poche le critiche, anche argomentate. Come quelle mosse dal magazine francese l'Express, che pone domande molto serie sul tema della regolarità fiscale ("Estonie, le nouvel e-paradis fiscal", del 2 Marzo 2018).
La tesi adombrata da l'Express si basa sulla tassazione degli utili d'impresa, tassati del 7% all'origine, e poi sottoposti a un'aliquota oscillante tra il 14 e il 20%. Con il sistema della e-residency, al contrario, vengono totalmente detassati se reinvestiti nell'impresa nata dalla nuova identità digitale. Quanto basta per sollevare fondati sospetti di una grave forma di dumping fiscale, proprio all'interno del sistema della UE.

Pionieri

Stefano Bistarelli

Il professor Bistarelli insegna Computer Science all'Università di Perugia.
Fin dal 2010 ha seguito da vicino l'evoluzione delle criptomonete e delle applicazioni della blockchain. Per poterlo fare da vicino, ha investito parte dei suoi fondi destinati alla ricerca. In quest'ottica, negli ultimi anni, ha invitato i suoi studenti a studiare il fenomeno e oggi si occupa della problematica galassia della sicurezza connessa a questo mondo... misterioso. Lo studioso ci aiuta a capire il valore e le potenzialità della tecnologia blockchain se applicata agli aspetti più materiali e quotidiani della nostra vita di tutti i giorni. Dal voto elettronico al commercio, fino alle garanzie merceologiche offerte dalle filiere della prodizione alimentare.

LINK alla pagina personale del Prof. Bistarelli nel sito dell'ateneo umbro.

Luigi Di Benedetto

Luigi Di Benedetto non ha ancora 20 anni. Vive a Brescia ed è lì che ha cominciato la sua avventura di "blockchainer".

Non è uno studente modello, tutt'altro. Ma, affascinato dall'informatica fin dall'infanzia, ha precocemente sviluppato una serie di originali iniziative digitali. E oggi, col piglio di un imprenditore smaliziato, è impegnato - tra Malta e Londra - nella creazione di una complessa macchina che spazia dalle criptovalute al calciomercato.
È, insomma, un giovanissimo imprenditore: incontrarlo, al di là dei successi o degli insuccessi delle sue attività, è servito provare a comprendere la vastità e la varietà delle applicazioni della tecnologia blockchain e dell'universo economico che essa dischiude. Un universo, tutto sommato, meno impenetrabile di quanto si pensi.

L'inchiesta di Report

LE CRIPTOVALUTE

Giuliano Marrucci ha compiuto un lungo viaggio intorno e dentro le criptovalute. Ha provato (con alterne fortune) a fare il trader, improvvisandosi investitore e speculatore. Ha interrogato "smanettoni" avventurosi ed esperti più riflessivi. È andato a vedere se e come queste monete virtuali vengono spese, effettivamente, nel mondo reale. La sua orbita eteroclita lo ha condotto a Rovereto - la "criptovalley italiana" - e poi a Zug, in Svizzera, dove molte società e imprese il cui nome e marchio è collegato al fenomeno hanno scelto di risiedere. Ma ha anche chiesto a "miners" italiani come funziona questo gioco, quanto costa e quanto ci si guadagna davvero. Un viaggio reale lungo le tracce materiali di quello virtuale.



Il brano, tratto dall'inchesta tv, racconta come Julian Assange - che ha fatto tremare le mura di Gerico a colpi di wikileaks - sia stato costretto a utilizzare i bitcoin per salvare la sua impresa dall'embargo, in tutto e per tutto di natura politica, decretato contro di lui dal sistema bancario americano.