Paradisi Fiscali

Il mondo nascosto dietro ai Paradise Papers

Tredici milioni di file raccontano come politici, imprenditori e società
hanno sottratto al fisco dati e soprattutto soldi.
È il nuovo scandalo sui paradisi fiscali.
Miliardi di miliardi che mancano all'appello nelle casse degli Stati.
Ma dove sono nascosti questi soldi?

Dopo oltre trent’anni di guerra dichiarata ai paradisi fiscali, ogni giorno miliardi di euro continuano ancora a sparire in Paesi che non fanno troppe domande sui soldi che arrivano. Lo dimostra la vicenda dei Paradise Papers: un’inchiesta realizzata dal Consorzio Internazionale di Giornalisti Investigativi di cui fanno parte anche Report e L’Espresso.
Una mole di documenti legati a due studi legali, Appleby e Asiaciti, e decine di società create per restare nell’anonimato, evitare le tasse, e portare enormi quantità di soldi nei paradisi fiscali. È tutto molto semplice e comodo: non bisogna andarci nemmeno di persona. Basta un click e i soldi scompaiono. Agli occhi del Fisco.

Le mille e una lista

Non esiste una blacklist condivisa dei paradisi fiscali. Ogni organizzazione istituzionale internazionale, ogni Ong che si occupa di materie fiscali e ogni Stato del mondo ha costruito la sua.

La lista (censurata) dell’Unione Europea

L’Unione Europea sta lavorando per avere entro la fine del 2017 una blacklist condivisa tra gli Stati membri, ma la commissione incaricata sta scrutinando solo i Paesi fuori dalla Ue. Perciò Paesi come l’Irlanda, il Lussemburgo, Malta e Cipro non sono neanche stati presi in considerazione. Nonostante sia dimostrato che questi territori continuano ad attirare e tutelare i capitali di società fantasma.

Oxfam, la più accreditata associazione internazionale nella lotta all’evasione fiscale, ha inserito questi Stati nella lista nera dei paradisi fiscali societari più aggressivi del mondo.

L’Italia, nel frattempo, ha deciso di abolire le blacklist, e dallo scorso anno ha soltanto una white list: un elenco di Paesi che sono ritenuti collaborativi e trasparenti, indipendentemente dal regime fiscale che utilizzano.

Le blacklist dell'Unione Europea e di Oxfam e la white list italiana

Fonte: Parlamento europeo; Oxfam; Gazzetta Ufficiale

L’evasione fiscale non esiste più?

Per decenni i parametri con cui sono stati identificati i paradisi fiscali sono stati sostanzialmente due:

1) facilitazioni fiscali per i non residenti (individui e/o società, trust, fondazioni ecc.), come ad esempio tasse estremamente basse anche per redditi creati altrove;
2) la possibilità di creare uno o più strati di opacità dietro ai quali nascondersi dal proprio fisco di appartenenza.

Ora l’obiettivo, tracciato a livello mondiale dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), è quello di definire uno standard internazionale di trasparenza fiscale che tutti i Paesi del mondo dovranno seguire. Lo strumento utilizzato? I trattati tra i Governi che da anni si accordano su come scambiarsi le informazioni fiscali sui non residenti.

Pascal Saint-Amans, direttore del centro di politica e amministrazione fiscale dell’Ocse

Chi deve guidare la lotta internazionale contro l’evasione fiscale è Pascal Saint-Amans, il direttore del centro di politica e amministrazione fiscale dell’Ocse. Lui sulle blacklist ha le idee chiarissime: «Redigere una lista nera - ci dice - è un’azione esclusivamente punitiva, che non serve a molto. Non ci interessa dire “voi siete i cattivi”. Noi vogliamo incentivare i Paesi a fare la loro parte».

In pratica l'Ocse assegna ad ogni Paese un voto (come a scuola) rispetto ai livelli di trasparenza fiscale e di cooperatività adottati.

Tutti gli Stati che vogliono essere considerati cooperativi devono aver firmato accordi bilaterali che li obbligano a fornire informazioni dettagliate ogni volta che l'Agenzia delle Entrate o la Magistratura di un Paese terzo le richiedono. In più dovranno aderire ad un nuovo protocollo che li obbliga anche a fornire in modo indistinto, e con scadenze periodiche, tutti i dati dei conti correnti accesi presso banche locali da residenti, società ed enti riconducibili allo Stato con cui hanno siglato il trattato.

Il mondo secondo l'Ocse

L’analisi degli Stati da parte dell’Ocse è un work in progress, perciò sia l’elenco che la valutazione non possono essere ancora considerati definitivi.
Trinidad e Tobago al momento è l'unico Paese valutato insufficiente.
Nell’elenco del nuovo protocollo si nota una grande assenza: gli Stati Uniti. Saint-Amans riconosce che è chiaramente un problema sul quale devono continuare a trattare, ma garantisce che gli Usa già sono in grado di recuperare e scambiare una mole di informazioni grazie agli accordi bilaterali che hanno firmato.

Fonte: Ocse

Solo quando firmeranno tutti si potrà mettere la parola fine all'opacità finanziaria. Secondo il direttore Saint-Amans entro settembre 2018 non ci sarà società di comodo, trust o fondazione dietro la quale nascondersi. Il denaro verrà sempre connesso al suo vero proprietario.

Ottimismo incoraggiante, ma al momento la storia è questa e non ci pare che la fine abbia tempi brevi.